La comunicazione della Banca d’Italia del 15 giugno (si veda «Il Sole 24 Ore» del 16 giugno) in materia di Dlt e cripto-asset da ricomprendersi nell’alveo della cosiddetta moral suasion dell’Istituto è caratterizzata da una visione olistica sulla materia: non si limita a trattare questioni strettamente legate ai compiti di banca centrale e di autorità di supervisione, ma prende posizione anche su altri aspetti, tra tutti quelli legati alle normative antiriciclaggio e tributaria.

Per i profili fiscali, il punto principale è la certezza per operatori e investitori. È questo un tema caro al Governatore, che anche nelle ultime Considerazioni fiscali ha sottolineato, più in generale, l’importanza della certezza del diritto tributario per lo sviluppo e la crescita del sistema economico. Per il settore fintech, è ben nota la mancanza in Italia di una legislazione dedicata. L’Agenzia, rispondendo a richieste dei contribuenti, ha dovuto fare di necessità virtù, assimilando le operazioni in cripto asset, sia per i profili reddituali che transattivi, a fattispecie (come le valute estere) che ben poco hanno a che fare con questo mondo. Ma, vale la pena ribadirlo, il problema è l’assenza di una cornice normativa, non le interpretazioni dell’amministrazione finanziaria.

A questa assenza è necessario che il legislatore ponga un termine, anche per motivi di concorrenza del nostro ecosistema fintech con altri Paesi (Francia, Svizzera eccetera) che già si sono dotati di una loro normativa tributaria. Il ritardo potrebbe però essere trasformato in un punto di forza, seguendo quanto suggerito nella Comunicazione. Nell’ultimo periodo, infatti, si sono intensificati i lavori a livello internazionale sui profili regolamentari e fiscali di questo settore, i cui contenuti principali sono già noti.

Nel disegnare il trattamento tributario, il legislatore italiano si potrà avvalere delle definizioni e delle discussioni già avvenute a livello comunitario, per il regolamento Micar e per la Dac8, e all’Ocse per il Crypto-asset reporting framework. Non tenerne conto significherebbe già partire con un assetto incerto, con un incremento – non desiderabile – di complessità amministrativa per gli operatori. L’aspetto della compliance non va sottovalutato: creare un ambiente il più simile possibile, per adempimenti e normative, a quello che si verrà a definire in ambito europeo e mondiale, concorrerebbe a evitare lo spostamento delle imprese fintech in altre giurisdizioni, con perdita di capitale fisico e umano.

Infine, la Banca d’Italia non dimentica la necessità di una coerenza di fondo tra nuova disciplina per i cripto asset e regime degli altri investimenti. Ciò significa, riferendoci in 5 particolare alle persone fisiche, disegnare un sistema che non avvantaggi chi investe in cripto asset rispetto ad altre attività. Allo stesso tempo, il legislatore dovrà affrontare i problemi che l’incertezza ha creato in questi anni: una voluntary disclosure ad hoc, che tenga conto anche dei rischi di riciclaggio, potrebbe essere una soluzione su cui riflettere.

Fonte: Valerio Vallefuoco, Per cripto-asset la chance di una regolamentazione in linea con la Ue e l’Ocse, Il Sole 24 Ore del 23 giugno 2022